Complessità, disinformazione e polarizzazione: pericoloso scambiare dato e opinioni
Sovrabbondanza di contenuti e algoritmi minano il rapporto scienza-politica e alimentano divisioni che portano a una comunicazione fatta di slogan. La cronaca dell’evento del Gdl ASviS sui Goal 6-14-15 sull’appello della scienza.
Come evidenziato dall’ultimo rapporto del World economic forum, la disinformazione nel breve periodo e gli eventi estremi in un orizzonte più lungo sono le principali minacce che il mondo deve affrontare nei prossimi anni. Mentre viviamo una situazione di “policrisi”, il prossimo 8 e 9 giugno rischiamo di andare al voto sulla base di convinzioni maturate su notizie false. Proprio per questo motivo, 22 presidenti di associazioni scientifiche hanno lanciato negli scorsi giorni l’appello “Ascoltare la scienza” contro la disinformazione elettorale. Se ne è discusso durante l’evento del Festival dello Sviluppo Sostenibile “Ascoltare la scienza, disinnescare la disinformazione” di lunedì 13 maggio, organizzato dal Gruppo di lavoro (GdL) ASviS sui Goal 6-14-15 dell’Agenda 2030 (dedicati a acqua e biodiversità marina e terrestre).
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L’iniziativa, che ha avuto luogo a Roma presso il Palazzo delle Esposizioni, è stata aperta dalle parole di Gianfranco Bologna, coordinatore del Gdl. “Stiamo assistendo all’emergere delle false verità. È stata addirittura messa in piedi una struttura che mira a mistificare le basi scientifiche delle questioni legate alla perdita di biodiversità e della crisi climatica”, ha detto Bologna che poi ha aggiunto: “è legittimo per i politici indicare le proprie misure per risolvere i problemi, ma se iniziano a minare le basi della cultura scientifica, acclarata, condivisa e unanime, compiamo un’azione che mette a rischio il presente e fa male al futuro. Negare l’evidenza scientifica è un fatto di una gravità estrema”.
Anna Luise, coordinatrice del Gdl insieme a Bologna, si è invece soffermata sull’importanza di far adottare un “pensiero sistemico a chi prende le decisioni. È una sfida che dobbiamo sostenere chiedendo alle migliori menti scientifiche del nostro Paese di fornire indicazioni facilmente spendibili e utilizzabili. La complessità è tipica della natura, ma noi non siamo abituati a pensare in questo modo. Compito della scienza è anche quello di costruire un ponte con la società e la politica. So che è difficile parlare con i decisori che hanno una struttura cognitiva lontana dal mondo accademico, ma è uno sforzo che va fatto per diffondere un approccio più o meno omogeneo”.
Elisa Anna Fano, presidente della Federazione italiana delle scienze della natura e dell'ambiente e professoressa di ecologia dell’università di Ferrara, ha fornito una panoramica sul perché è importante agire subito: “Il cittadino comune deve comprendere di essere parte di un sistema che è governato dall’uomo. Lo vediamo nel fenomeno delle specie aliene invasive, che alterano l’equilibrio degli ecosistemi, nelle mega-costruzioni, nella diffusione della plastica, nella subsidenza indotta dall’uomo nella Pianura padana a cui è associato l’ingresso del cuneo salino nel delta del Po che sta modificando l’agricoltura della zona. Facciamo finta di essere i padroni della biosfera ma non è così. Permettetemi una cattiveria. In questi giorni si parla del ruolo dei dinosauri nella cultura. Si dice che sono ‘inutili‘ poiché hanno vissuto 66 milioni di fa. Penso invece che dobbiamo raccontare anche quella storia, per essere in grado di comprendere che si sono estinti perché non sono stati in grado di adattarsi”.
La realtà è complessa, non tutto si può spiegare con una linea, men che meno forme e dinamiche di un Pianeta che cambia, e per gli esseri umani sicuramente in peggio. Per Roberto Danovaro, professore di Ecologia e biologia marina dell’università politecnica delle Marche, “chi lavora con la natura sa che la complessità è un elemento fondamentale. Dall’appello degli scienziati emergono alcuni concetti. Abbiamo vissuto una deriva negli ultimi 20 anni e più in cui si è scambiato dato scientifico e opinione, mettendoli sullo stesso piano. Sembra una cosa democratica, ma non possiamo contrapporre un pensiero a migliaia di esperti. Siamo al paradosso che chi oggi giudica la scienza non conosce il metodo scientifico. Stiamo tornando a prima di Galileo. Per noi comunità scientifica sorge dunque un altro problema: se prima pensavamo che la questione fosse parlare con un linguaggio più accessibile, oggi dobbiamo scontrarci con chi mette in dubbio il lavoro, il sacrificio, anni di rilevazioni. Parlarne è sicuramente parte della soluzione, ma resta pericolosissimo alimentare una deriva in cui smettiamo di credere nella comunità scientifica”.
La scienza dopo aver trovato nuovi linguaggi deve allargare il suo messaggio a una platea più ampia. La senior research della Fondazione Centro euromediterraneo cambiamenti climatici (Cmcc) e presidente eletta della Società italiana scienze del clima, Paola Mercogliano, ha illustrato il contributo della sua organizzazione al tema. “Prima il nostro obiettivo era costruire scenari e comprendere le dinamiche del sistema Terra. Oggi invece parliamo anche di resilienza e di soluzioni, siamo in grado di dare una visione su come gestire la società e l’economia. Chi studia la crisi climatica non è più solo un modellista - ha detto Mercogliano soffermandosi poi sul rapporto con i decisori pubblici -. La nostra divisione di Caserta parla con comuni e città. In queste situazioni mi sono resa conto dell’incapacità nel parlare con i politici e che per ‘trasferire conoscenza’ bisogna abbattere il gap della terminologia. Se parlo con un ingegnere o con un ufficio tecnico devo utilizzare le stesse parole. Se la società non è informata il cambiamento non sarà attuato. Anche l’Ipcc, che si nutre di migliaia e migliaia di osservazioni sulla realtà, e dunque non fa solo previsioni ma descrive ciò che accade, fa notare che la disinformazione sul clima ne sta ritardando l’azione”.
Simona Castaldi, professoressa di Ecologia dell’università della Campania Luigi Vanvitelli, ha poi ricordato che circa “il 23% delle zone agricole europee sono già degradate e il 90% potrebbe esserlo per il 2050, con costi insostenibili”. Poi ha paragonato la perdita di biodiversità all’organismo umano: “Aumentando la naturalità del sistema facilitiamo l’aumento della biodiversità. Più specie vuol dire più funzioni sistemiche, più benefici. Un sistema più biodiverso lo è anche nella parte microscopica, amplificando così la resilienza degli organismi. Esattamente come fa l’uomo che possiede un microbiota intestinale con delle funzioni fisiologiche, metaboliche e immunologiche che servono per mantenere uno stato di benessere fisico e mentale. La natura funziona così, più è biodiversa e più si adatta. Per essere più resistenti dobbiamo essere più naturali”.
In chiusura del primo blocco si è ricordato che l’Italia dopo sette anni di attesa si è dotata di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, a cui ora va dato seguito, e del problema legato all’invasività dell’azione antropica. Per esempio, l’analisi della biomassa dimostra che i mammiferi sono costituiti per il 60% da animali da allevamento (bovini, suini, equini, ecc.), per il 36% da noi esseri umani, e solo dal 4% da mammiferi selvatici. Una situazione che dovrebbe farci riflette su come riorganizzare il food system.
La seconda parte dell’evento è stata moderata da Luca Fraioli, giornalista de La Repubblica, che ha messo sul piatto una serie di interrogativi: “nel libro ‘ecofascisti’, Francesca Santolini sostiene che ignorare o denigrare gli allarmi sul clima è ormai una strategia politicamente impraticabile. È così? E sul clima è finita l’era del negazionismo? Spesso mi trovo in difficoltà nel raccontare le promesse disattese da parte degli Stati, questa è una parte della disinformazione?”.
Per Walter Quattrociocchi, professore ordinario di informatica alla Sapienza università di Roma, “L’articolazione del discorso sulla disinformazione viene a valle di due principi, la sovrabbondanza di contenuti e gli algoritmi costruiti per intrattenere e non per informare, al fine di vendere una pubblicità e di mettere l’utente in una zona di comfort. Il rapporto scienza-politica subisce le stesse dinamiche dell’informazione che passano sui social. Inoltre, spesso il giornalista fatica a riconoscere le fonti e siamo immersi in un conflitto tra pro e contro mainstream: chi è a favore supporta l’azione per il clima, chi subisce la globalizzazione ed è per esempio a favore delle scie chimiche non si è invece nemmeno posto il problema del cambiamento climatico. Anzi, è una ulteriore manovra di complotto. Abbiamo fatto uno studio sul clima lo scorso anno, sull’andamento della discussione sul dibattito pubblico. Abbiamo trovato tanta polarizzazione, e sui social a pochi importa della crisi climatica. In questo contesto di disinformazione non bisogna cadere nel tranello dei buoni contro i cattivi, perché crea una dicotomia dove nessuno comunica più con un altro, e ciò alimenta divisioni e una comunicazione fatta di slogan”.
“Dobbiamo tradurre studi e linguaggi degli scienziati. Siamo sicuri che le persone siano in grado di comprendere i messaggi che vengono lanciati?”, ha detto intervenendo di seguito Chiara Giallonardo, giornalista e conduttrice di “Io, Chiara e il green” su Rai Isoradio. “C’è poi il capitolo di chi finanzia la disinformazione, l’indipendenza deve essere la priorità per noi giornalisti. Al tavolo del dibattito chi porta i dati non può avere lo stesso peso di chi porta solo opinioni, spesso infondate. La polarizzazione va evitata, spesso incita all’odio, pensiamo ai termini gretini ed ecofollia. Come comunicatori dobbiamo essere più attenti nell’accompagnare un percorso di cambiamento”.
Un cambiamento che, almeno nell’approccio mediatico, c’è in parte stato, come ha ricordato Sonia Filippazzi, giornalista di Radio Rai e curatrice del programma “L’aria che respiri”: “30 anni fa si pensava che parlare di ambiente fosse per ricchi. Oggi non è così. Da una parte c’è una base crescente di consapevolezza, dall’altra c’è un acuirsi di un divario. In qualità di giornalisti prima di dare una notizia dobbiamo essere sicuri della fonte, soprattutto sui temi ambientali. Riscontro un cambiamento positivo nella comunicazione degli scienziati, il vero problema non è il linguaggio poco accessibile ma che alle parole dei decisori politici spesso non seguono i fatti. Guardiamo ai combustibili fossili, mentre tutti si impegnano a uscire dalle fonti fossili in realtà i sussidi verso questo settore stanno aumentando”.
Infine Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, pensa che “la partita sia già cambiata, ora anche chi è contrario alla transizione è passato dal negazionismo a preoccuparsi dei danni della crisi climatica. Un passaggio ancor più complicato sarà quello di far cambiare l’economia. Per questo nel rapporto pubblicato dall’ASviS la scorsa settimana abbiamo voluto ricordare che se ritardiamo l’azione, anche solo di cinque anni, andremo incontro a costi economici e sociali”.
di Ivan Manzo