“Europa: l’unica soluzione è un’etica comune”. Dialogo tra Prodi, Giovannini, Zuppi
Usciamo da questa legislatura con una frammentazione a rischio esplosione. Dal confronto ospitato dal Festival emerge un’Ue in balia delle decisioni prese dagli altri Stati. “Dobbiamo andare verso un’Europa federale”.
La sostenibilità è l’etica della giustizia intergenerazionale, per instaurare un nuovo legame sociale è necessario promuovere un insieme di valori ancora non pienamente condivisi. Come ricorda Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli tutti”, la giustizia non riguarda solo i diritti individuali ma determina anche quelli sociali. Ogni generazione deve affrontare le proprie battaglie, poiché il bene, la giustizia e la solidarietà non sono traguardi ma obiettivi da conquistare quotidianamente. Come dunque costruire società pacifiche in linea con l’Agenda 2030?
Questi alcuni degli argomenti oggetto del confronto tra Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, Romano Prodi, già presidente del Consiglio dei ministri e della Commissione europea, e il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante l’evento “Etica e sviluppo sostenibile” che si è tenuto il 15 maggio a Bologna presso il Mast auditorium, con il patrocinio del Comune di Bologna. L’evento, moderato dalla giornalista Marianna Aprile, ha affrontato diverse questioni.
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Il Cardinale Zuppi e Monsignore Crociata hanno scritto una lettera all’Europa richiamandola a un’assunzione di responsabilità alla vigilia delle elezioni europee. Perché?
Zuppi: Non facciamo accademia o prediche, ma c’è bisogno di un esame di coscienza. Abbiamo inviato questa lettera perché siamo molto preoccupati, l’Europa è una cosa straordinaria, a 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale ci dobbiamo però chiedere se davvero vogliamo agire insieme o divisi. Vogliamo raggiungere la pace o la tregua? L’Europa è nata per dire mai più alla guerra.
Etica e sviluppo sostenibile, come pensare al futuro con una guerra che ribussa alle porte dell’Europa? Qual è lo strumento concreto di pace per l’Europa? Cosa preannunciano le prossime elezioni?
Prodi: La verità è che l’Europa non ha in mano nessuno strumento di pace e non abbiamo dato vita ad alcuna missione di pace, e la cosa mi fa soffrire. Questo perché non abbiamo creato una volontà comune e siamo troppo divisi internamente, un problema gravissimo. O la smettiamo con il voto all’unanimità o l’Europa non conta più nulla nella pace, ma anche nell’ambiente. Eppure la pace è stata la nostra forza. Quando Macron dice ‘inviamo in Ucraina le truppe di terra’ lo fa solo per agitare una bandiera, senza dimenticare che queste truppe non le ha. Un processo di pace lo può avviare solo chi ha il potere, in sostanza Cina e Usa, il resto è fuori gioco.
Giovannini: L’articolo 3 del trattato europeo sottolinea che l’Unione si prefigge di garantire la pace. Anche l’Agenda 2030 individua nella pace un Obiettivo comune da raggiungere. Nei giorni scorsi il presidente Mattarella ha detto testualmente ‘l’Agenda 2030 non è questione burocratica né per sognatori, ma rappresenta l’unico elemento di progresso comune che vogliamo costruire’. La verità è che sul tema dello sviluppo sostenibile, tra parole e fatti, c’è un abisso. Con l’ASviS abbiamo messo a confronto i manifesti delle forze politiche, non c’è nulla che li accomuna. Sul Green deal, sulla difesa, sulla politica istituzionale, sulle riforme istituzionali, ci sono molte differenze. C’è chi per esempio dice di voler superare il diritto di veto dei singoli Paesi, altri vogliono il contrario. Usciamo da questa legislatura, che pur ha prodotto grandi risultati sullo sviluppo sostenibile, con una frammentazione a rischio esplosione. Ciò significa che in questi cinque anni non si è costruito lo spirito unitario richiamato anche nella lettera del Cardinale Zuppi. Tutto ciò ha a che fare con l’etica.
Prodi: Il problema è che non scegliamo noi. Il mondo è cambiato in modo drammatico, abbiamo perduto il senso di chi comanda nel mondo. Siamo entrati in una nuova guerra fredda, prima era tra Stati Uniti e Unione Sovietica, adesso abbiamo l’Ovest contro tutto il resto, un tutto il resto che ha un dinamismo e una crescita impressionante mentre noi siamo disuniti. Stiamo morendo di mediazioni. Prendiamo l’esempio della difesa comune, il consiglio Ue ha discusso su tutto tranne su cosa farne. La gente capisce quando invece di decidere si tende a evitare. Non riusciamo a cogliere dei chiari segnali che arrivano dalla guerra in Ucraina che ha provocato, per esempio, il riarmo tedesco. In un giorno la Germania che per oltre 70 anni non aveva speso un marco ha messo a bilancio risorse per la difesa pari a due volte e mezzo quelle francesi. Ripeto: senza interesse comune non conteremo nulla e l’abbiamo visto quando è venuto in visita in Europa il presidente cinese Xi Jinping negli scorsi giorni. La Cina ci sta giocando come burattini, restando disuniti avrà vita facile.
Sembra che gli unici rimasti a sognare l’Europa stiano al confine. Sul fenomeno migratorio la costruzione di un’etica comune è possibile?
Zuppi: La solidarietà europea sul tema fino a ora non c’è stata. Non si è voluto mettere in discussione le regole in vigore, come il trattato di Dublino. Siamo molto attenti sul tema e vediamo che non c’è una consapevolezza, non c’è una visione sistemica che porta l’intera Europa a darsi una mano. Eppure la gestione del fenomeno migratorio potrebbe portare a diversi benefici. Pensiamo al mondo occupazionale, c’è una evidente richiesta di lavoratori in determinati settori, attuare etica e pensiero sistemico in questo campo è la chiave per risolvere il problema.
Il 7 maggio l’ASviS ha presentato il Rapporto “Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050. Le scelte da compiere ora per uno sviluppo sostenibile” che elabora cinque scenari in cui quello più auspicabile è accelerare la transizione. Cosa dovrebbe accadere nell’immediato futuro?
Giovannini: Se il processo di decarbonizzazione che porta alla neutralità climatica al 2050 è fatto innovando ogni comparto avremo grossi benefici in termini occupazionali e di crescita del Pil. Ma molti invece pensano che parlare di sviluppo sostenibile sia fare chiacchiere. Uno degli scenari costruiti con Oxford Economics, non un gruppo di ‘ambientalisti comunisti’, mostra che se non interveniamo le temperature continueranno a salire e intorno al 2100 il Pil andrà a zero. E va a zero perché la società e l’economia con 5°C oltre la media del periodo preindustriale non esistono più. Per realizzare la transizione servono grossi investimenti che non possono basarsi solamente sui singoli bilanci nazionali, altrimenti non conteremo nulla sul piano politico, sociale, industriale e della competitività. Il problema è che in questo momento pochi partiti intendono ripetere l’esperienza del Next generation Eu su altri fronti, a parte che sulla difesa comune: lì tutti sembrano essere d’accordo, ma sui temi dello sviluppo sostenibile no. Dobbiamo andare verso un’Europa federale e non confederale come lo è ora. Bisogna mettersi insieme, non c’è soluzione. Chi dice più Italia e meno Europa vuol dire che non ha capito nulla della lezione della pandemia, che non condivide il trattato dell’Unione europea e l’etica del risolvere insieme i problemi. Inoltre servono processi decisionali diversi. Dopo le elezioni europee dobbiamo insistere su valori e prospettive comuni. Bisogna dare al parlamento europeo anche il potere di iniziare una legge, dato che oggi può solo reagire alle proposte della Commissione e in alcuni casi del Consiglio. La democrazia va rafforzata.
Prodi: Non pensiamo che l’Europa possa diventare una grande potenza senza un esercito e una politica estera comune. Due elementi necessari per mediare ed equilibrare una situazione e non per avere un comando forte. Anche nell’ambiente l’Europa ha dato l’esempio, pensiamo al protocollo di Kyoto, però attenzione: è solo un esempio dato che inquiniamo poco, quando facciamo una campagna per chiudere due centrali a carbone è giusta, ma in Cina ne aprono una nuova a settimana.
Giovannini: Su quest’ultimo punto non sono d’accordo, con Romando Prodi la pensiamo diversamente. Io non parlo di missioni europee, parlo per esempio delle 300mila persone che perdono prematuramente la vita ogni anno in Europa per l’inquinamento atmosferico, di cui almeno 52mila in Italia. Su questo Cina e India non c’entrano nulla, il dato è indipendente da ciò che fanno gli altri.
Prodi: Ma l’aria gira, questo è il grande problema dell’umanità, l’Europa deve essere il fermento del cambiamento ma se crediamo di dover portare tutto il peso del cambiamento succede ciò che ha fatto la Commissione europea negli ultimi due mesi: ha ritirato la politica ambientale più avanzata nel mondo perché non riusciva a portarla avanti. Questa è stata una perdita di autorità impressionante, ma dal punto di vista politico non c’era nessun’altra possibilità, la politica messa in campo non reggeva, non trovava riscontro nel popolo. Il problema della politica è avanzare insieme.
In base a tutto ciò che è stato detto, il problema in realtà è pre-politico? È etico, di assenza di un’autorità morale?
Zuppi: L’etica in passato sembrava un freno a mano tirato che impediva la crescita economica, ma nelle varie crisi si è visto che non è così. Per vivere bene insieme un’etica comune è fondamentale. La nostra Costituzione è piena di etica, l’articolo 4 per esempio dice che ognuno deve contribuire al progresso materiale o spirituale della società. Io penso ci sia speranza. Pensiamo ai giovani, loro sono quelli più europei perché cresciuti in una casa europea. Nella ‘Laudato Sì’ di Papa Francesco viene ricordato che abbiamo bisogno gli uni degli altri e che è arrivato il momento di riconoscere che la superficialità ci mette tutti contro tutti e fa emergere nuove forme di odio e crudeltà. In sostanza è l’etica che conviene, e non il suo contrario, che per me è l’individualismo.
Abbiamo parlato di un nuovo Next generation Eu. Se andiamo a vedere il Pnrr vediamo che i fondi destinati alla scuola in Italia sono 20 miliardi di euro, ma a due anni e mezzo dal 2026 abbiamo speso solo 3 miliardi di euro. In sostanza: non è che quando abbiamo risorse non sappiamo cosa farci? Neanche dopo un evento drammatico come la pandemia?
Prodi: È un eterno problema amministrativo, politico, burocratico, decisionale che ci portiamo dietro da generazioni. Non mi scandalizzo, vedo la frammentazione dei processi decisionali, ma non siamo di fronte a un problema solo italiano. Prendiamo la Germania, prima aveva due partiti, poi tre, poi cinque, poi arrivano le coalizioni che ora litigano internamente su tutto. Mi vien da dire che hanno imparato dall’Italia. Nessuno intende prendere un impegno sul futuro, sui problemi di lungo periodo che cambiano la società. Tutti utilizzano strumenti di breve periodo. Così non risolviamo i problemi. Le democrazie oggi sono sempre meno in grado di prendere decisioni complesse e di lungo periodo, anche nella politica ambientale. In teoria può prendere decisioni più un dittatore che un sistema democratico. E questo è qualcosa di drammatico.
Giovannini: Il tema della democrazia è centrale. Un’Europa più federale significa cedere un pezzo del potere mettendolo insieme, ma il concetto non può essere solo quello di spartire le risorse. Essendo stato nel governo che ha disegnato il Pnrr, posso dire che l’abbiamo fatto pensando al futuro. I Pnrr sono un modello coerente di un’Europa che si è data obiettivi comuni. Pensiamo ai 20 miliardi per la scuola: se anche li avessimo spesi tutti, ma non sarebbero serviti per raggiungere obiettivi come la lotta all’abbandono scolastico, l’Europa non avrebbe ritirato quei finanziamenti. È questo il passo avanti compiuto dall’Europa con il Next generation Eu: risorse e obiettivi comuni. Abbiamo scelto di aprire il Festival dello Sviluppo Sostenibile a Ivrea, luogo in cui Adriano Olivetti ha realizzato un’utopia, una visione etica di cosa il mondo dell’economia può fare. Ma la Olivetti fu anche un esempio di decisioni sbagliate, quando per esempio decise di cedere agli americani i primi computer puntando sulle macchine da scrivere. Chiudo dicendo che al Cardinale Zuppi che la Chiesa italiana ha scelto la transizione energetica come palestra per costruire comunità. Come Paese dovremo usare parole proprio come comunità, ma anche come transizione, per costruire un’Italia più coesa.
di Ivan Manzo