Nel Paese forte spinta a costruire nuove filiere industriali legate alla transizione

Dall’evento ASviS a Bologna su imprese e territori è emerso come l’Italia abbia risorse, infrastrutture e tecnologie per fare il salto verso un modello pienamente sostenibile: ora bisogna vincere le paure e fare sistema.

lunedì 20 maggio 2024
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Solo sviluppando una visione aziendale di medio e lungo periodo, e mettendo in rete le migliori energie del mondo imprenditoriale e associativo, si può creare valore sociale ed economico per i territori. È quanto emerso dall’evento “Imprese sostenibili per territori e comunità resilienti” organizzato il 15 maggio dall’ASviS con il patrocinio del Comune di Bologna, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Tutor della tappa di Bologna Camst, Cefla, Bcc Emilbanca, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Gruppo Hera, Ima e Nomisma.

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Ad aprire i lavori, nell’Auditorium “Enzo Biagi” della Sala Borsa a Bologna, il presidente dell'Alleanza Pierluigi Stefanini, che ha esordito ricordando l’importanza di sfatare luoghi comuni e approcci conservativi in tema di transizione: “Dobbiamo spingere avanti il processo trasformativo, programmare tempi e obiettivi. È un processo difficile, ma occorre rendere credibile e incisivo il valore strategico dello sviluppo sostenibile nella vita stessa delle imprese. La cornice istituzionale è essenziale: o si riesce a creare una connessione forte tra il ruolo dell’impresa e come il valore prodotto si condivide e distribuisce oppure è molto difficile”.

L’incontro, moderato dalla giornalista del Sole 24 Ore Michela Finizio, è proseguito con l’intervento di Sara Ghedini, responsabile sostenibilità di Nomisma, che ha presentato i risultati di un’indagine sulle performance Esg delle aziende dell’Emilia-Romagna. Per quanto riguarda le grandi imprese, il 46% pubblica un report di sostenibilità (6% tra le Pmi), il 55% ha in organico una figura dedicata alla sostenibilità (16% Pmi), solo il 29% ha definito una strategia di sviluppo sostenibile integrata nel piano di business (20% tra le Pmi). “Abbiamo ragionato su una base di un migliaio di aziende”, ha aggiunto Marco Marcatili, direttore sviluppo di Nomisma, “a livello nazionale c’è ancora più distanza tra grandi e piccole imprese. Converrebbe chiedersi se ci siano scorie di capitalismo finanziario che stanno determinando le rotte della sostenibilità. Non è possibile che le piccole e medie imprese si trovino particolarmente in difficoltà”.

Il panel dal titolo “Creare valore sociale ed economico per i territori e le comunità del futuro” è partito da Stefano Dall’Ara, presidente di Scs consulting, che ha dichiarato: “Il primo approccio alla sostenibilità è verso noi stessi: siamo una società con 190 dipendenti, la metà sotto i 30 anni, con attenzione al benessere delle persone e alla parità di genere. Abbiamo un approccio integrato, collaboriamo con associazioni di categoria e realtà istituzionali: più riusciamo a far sistema, più si favorisce la crescita culturale dei nostri stakeholder”.

Gian Luca Galletti, presidente di Emil Banca, ha evidenziato il ruolo degli istituti di credito sul territorio: “Come banca di credito cooperativo nasciamo sostenibili. Con due obiettivi: il primo è di tenere i conti a posto, il secondo è reinvestire sul territorio ciò che guadagniamo. Capite che è una grande differenza, perché la S di Esg si fa molto più facilmente. Non deve però passare il criterio che basti dare 10mila euro a un’associazione per esaurire la propria funzione. Serve uno sforzo più elevato: occorre far crescere la comunità assieme alla tua azienda”.

Susanna Jean, responsabile Marketing offerta 5G, verticals & IoT di Tim Enterprise, ha messo l’accento sulla necessità di fare rete con i territori: “La nostra divisione sviluppa e fornisce soluzioni alle medie e grandi imprese e alla Pubblica amministrazione, siamo abilitatori: grazie alle tecnologie più innovative supportiamo queste realtà nel percorso di ‘digital transformation’ anche in ottica di sostenibilità. Puntiamo a rendere più efficienti i processi, monitorare ed estrarre i Kpi, aiutare i territori nell’uso più consapevole del trasporto pubblico”.

Mariangela Siciliano, responsabile area Education & connect solutions di Sace, è partita da un dato: “Nel 2022 le imprese manifatturiere italiane di medie dimensioni che hanno dichiarato di aver fatto azioni di sostenibilità erano il 60%, le Pmi il 40%. Questi numeri non sono male rispetto agli altri Paesi europei. Il problema è che vanno distinte le aziende ‘pioniere’, con una visione a lungo termine, che sono il 10%, e le ‘new entry’, che si stanno approcciando adesso alla sostenibilità. Quello che abbiamo fatto è lavorare sulla formazione, oltre a lanciare garanzie green a supporto di finanziamenti che vanno in questa direzione”.

Giuseppina Gualtieri, presidente di Tper (Trasporto passeggeri Emilia-Romagna), si è concentrata sulle sfide della mobilità: “Nel nostro settore le aziende hanno un ruolo fondamentale per la qualità della vita e lo sviluppo del territorio. Lo dice il fatto che tutti i finanziamenti in atto da alcuni anni vanno nella direzione della mobilità sostenibile, anche se poi bisogna avere la capacità di metterli a terra. Cerchiamo di fare della mobilità sostenibile una strategia aziendale, di investire sulla decarbonizzazione”.

Il panel successivo ha affrontato il tema “Il contributo delle imprese per la transizione ecologica”. Andrea Bianchi, responsabile Pianificazione strategica e politiche industriali di Invitalia, si è soffermato sui fondi europei, che “spingono sempre di più a orientare il sistema di incentivazione alle imprese verso tecnologie e innovazioni compatibili con la transizione ecologica. Nel Paese c’è una forte spinta a costruire nuove filiere industriali legate alla transizione. Invitalia si sta adeguando a questa tendenza su due versanti: il primo finanziando progetti particolarmente interessanti connessi alla transizione; il secondo con una serie di strumenti e agevolazioni dedicati alle Pmi”.

A seguire è intervenuta Paola Bertocchi, responsabile Sostenibilità di Camst Group: “Come azienda di ristorazione produciamo ogni anno fra gli 80 e i 90 milioni di pasti, siamo un anello di una filiera estremamente complessa e impattante a livello globale. Affrontiamo questa tematica sotto tanti punti di vista, a partire dal coinvolgimento della catena di fornitura, la scelta delle materie prime. E l'impatto ambientale spesso lo subiamo, perché il cambiamento climatico ha effetti sulle reperibilità di alcune materie prime”.

Gianmaria Balducci, presidente di Cefla, ha sottolineato l’importanza di una visione strategica di medio-lungo periodo (“L'obiettivo di caduta del carbon free del 2050 va bene, però bisogna gestire la transizione) e ha evidenziato poi il valore della tecnologia fuel cell (celle a combustibile a idrogeno, ndr).

Salvatore Molé, direttore centrale innovazione del Gruppo Hera, ha parlato di strategia orientata alla creazione di valore condiviso: “A livello interno ci siamo dati obiettivi di riduzione dei consumi elettrici, lavoriamo poi come partner delle imprese per creare iniziative assieme in un’ottica di co-sviluppo. Ad esempio, stiamo realizzando impianti agrivoltaici che non consumano suolo e alimentano le celle frigo di un’azienda”.

Fabrizio Pirri, direttore del Centro per le tecnologie del futuro sostenibile dell'Istituto italiano di tecnologia, ha osservato che “la possibilità in Europa, anche in Italia, di creare filiere produttive con valore aggiunto è percorribile. La stessa cosa vale per la CO2: gli scarti a base di carbonio sono preziosissimi in un’ottica di abbandono dei combustibili fossili”.

Ha chiuso il panel Michelangelo Suigo, direttore Relazioni esterne, comunicazione & sostenibilità di Inwit: “Abbiamo ascoltato dei contributi che ci fanno capire come il Paese abbia risorse, tecnologie e infrastrutture digitali: bisogna costruire l’ecosistema. Come Inwit ci siamo dotati di una strategia climatica, fissando target rigorosi: carbon neutral da quest’anno, net zero dal 2040”.

Le conclusioni sono state affidate a Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, che è partito da una rapida analisi degli scenari sulla transizione elaborati da Oxford Economics per l’ASviS, contenuti nel “Rapporto di Primavera”, chiosando che “rinviare le scelte è un errore: le imprese non possono fermarsi, se adesso fanno scelte sbagliate tra cinque anni rischiano di smantellare il capitale creato. È un discorso di buon senso, eppure continuamente ascoltiamo discorsi che invitano a rallentare. Il resto del mondo corre, noi cincischiamo. Un pezzo importante di questo Paese non vuole fare la transizione, ma ci sono tantissime imprese che l’hanno presa seriamente, anche se non si sentono capite dalla burocrazia. Il rischio è che tutto ciò aumenti, a meno che queste scelte non diventino veramente forti”.

 

di Andrea De Tommasi