Dal ripristino della natura ai contratti climatici: le città si mobilitano

Nonostante lo stop all’iter della Nature restoration law, il recupero degli ambienti naturali rimane centrale per la resilienza delle metropoli. Il dibattito tra stakeholder e amministrazioni locali in un evento ASviS al Festival.

lunedì 20 maggio 2024
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Le aree urbane non potranno affrontare i cambiamenti climatici senza riabilitare gli ecosistemi che vivono in esse. È quanto emerso dall’evento “Il ripristino della natura e le politiche climatiche nelle città”, organizzato il 14 maggio dall’ASviS con il patrocinio del Comune di Bologna nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Tutor della tappa di Bologna Camst, Cefla, Bcc Emilbanca, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Gruppo Hera, Ima e Nomisma. L’iniziativa è stata moderata da Piero Fachin, condirettore di Qn - Quotidiano nazionale.

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Anna Lisa Boni, assessora alle Relazioni internazionali e cooperazione e membro della cabina di regia sui fondi europei del Comune di Bologna, nonché coordinatrice delle nove città italiane della Missione Ue, ha portato i saluti istituzionali dell’amministrazione locale. “Come città di Bologna stiamo cercando di portare avanti una visione del futuro trasformativa e sistemica, legata a sfide come il ripristino della natura e la neutralità climatica. Ma siamo anche costantemente in equilibrio tra la voglia di cambiare e le emergenze del minuto. Momenti come questo ci regalano ossigeno per ragionare sul futuro”.

Ha preso poi la parola Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, che ha evidenziato “l’importanza della connessione tra il ripristino della natura e il contrasto alla crisi climatica. Emerge, sia dall’Agenda 2030 che dal Green deal europeo, la necessità di agire in modo più forte e integrato per la rigenerazione dello spazio urbano”. Stefanini ha ribadito che le azioni che facciamo nel breve periodo devono essere sempre connesse a una visione a lungo termine, e ha sottolineato la necessità “di essere sempre più incisivi e insistenti per coinvolgere la cittadinanza e la società civile. Dobbiamo aumentare il grado di progetto sistemico di tutti i soggetti che possono concorrere a realizzare l’Obiettivo 11 [“Città e comunità sostenibili”, ndr] dell’Agenda 2030”. Per esempio, il presidente ha ribadito che non bastano, in Italia, le nove città per il raggiungimento della neutralità climatica, ma che tutte le città della penisola devono diventare sostenibili.

L’iniziativa è proseguita con l’intervento di Rossella Muroni, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 11 e presidente dell’associazione Nuove Ri-generazioni, che ha introdotto l’iniziativa aprendo i lavori. Muroni ha incentrato la sua relazione intorno alla Nature restoration law, la legge europea sul ripristino della natura, che non ha però completato l’iter di approvazione legislativo. “Non ne voglio parlare al passato ma ne voglio parlare al presente e al futuro, perché è una legge assolutamente strategica. È infatti necessario raccontare quanto l’Europa in questi anni ci ha portato avanti sul fronte della lotta al cambiamento climatico”. Muroni ha sottolineato che, nel “ripristinare gli ecosistemi con un approccio sia teorico che pratico, la Nature restoration law potrebbe essere quel quadro di armonizzazione dei vari strumenti che l’Unione europea si è data, e che il nostro Paese dovrà recepire”. 

L’evento è proseguito con la relazione “I mutamenti climatici e il loro impatto sulle città” di Carlo Cacciamani, direttore dell’Agenzia ItaliaMeteo, che ha ricordato l’alluvione, ma anche la siccità, che nel 2023 hanno colpito l’Emilia-Romagna e le Marche. “C’è una contrapposizione, io lo chiamo rovescio della medaglia, tra un estremo climatico di un tipo e il suo estremo opposto. Sulla scala cittadina questo rovescio è amplificato. Da una parte abbiamo il rischio idraulico, cioè le esondazioni, e dall’altra parte abbiamo l’opposto, le ondate di calore, e i problemi sanitari connessi al caldo”.

Il primo panel, intitolato “La Nature restoration law nelle città”, è stato aperto da Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po. Anche nella relazione di Bratti si è parlato di fenomeni climatici estremi e opposti tra loro. Il 2022 infatti, ha spiegato Bratti, è stato caratterizzato da una grande crisi idrica, mentre il 2023 ha visto il più alto numero di frane e alluvioni, dovute a forti piogge, nella storia della regione del bacino del Po. “Che fare? Se da un lato è necessaria la pianificazione, introducendo elementi che rafforzino la difesa idraulica dell’ambiente, dall’altro dobbiamo riportare il più possibile uno stato di conservazione più di carattere naturalistico, che produca un’azione di conservazione della biodiversità”. 

Ha poi preso la parola Barbara Nappini, presidente di Slow food Italia, dichiarando che “veniamo da un modello culturale e socio-economico che ci sta presentando il conto. Veniamo da una cultura estrattivista, dove tutta la ricchezza comune è stata usata e trasformata in scarto. E su questo si è basato il mito di uno sviluppo infinito, mentre adesso abbiamo chiaro che le risorse sono limitate”. “Nella Natural restoration law”, ha continuato Nappini, “avevamo degli obiettivi di ripristino del degrado ambientale del 20% al 2030, del 60% al 2040 e del 90% al 2050. Sono traguardi che dobbiamo assolutamente raggiungere nonostante lo stop della legge in Europa. Perché dal loro raggiungimento passa la nostra stessa sopravvivenza”.

L’iniziativa ha poi visto l’intervento di Michele Munafò, curatore del Rapporto sul consumo di suolo Snpa-Ispra, che ha parlato di come rigenerare il suolo dismesso in ambito urbano, facendo presente che “c’è un aumento del degrado e dell’artificializzazione del suolo. Il nostro Paese ha una copertura artificiale molto più alta della media europea, abbiamo il 7,14% di suolo direttamente ricoperto di cemento o asfalto”. Munafò ha sottolineato che l’Italia sta continuando a consumare suolo, senza cambiare modello di sviluppo: “Gran parte di questo processo di nuove costruzioni avviene proprio all’interno e ai margini del tessuto urbano, dove invece sarebbe meglio mantenere la permeabilità del suolo”. “Le nostre città”, ha evidenziato ancora, “sono quelle che risentiranno di più dei cambiamenti climatici, quindi le politiche di adattamento dovrebbero necessariamente basarsi su situazioni di ripristino della naturalità all’interno del tessuto urbano. Se no, quando piove, l’acqua non è più trattenuta dalla vegetazione e scorre in superfice fino a sei volte più del normale”.

Il professore di Progettazione urbanistica presso l’Università “Roma Tre” Andrea Filpa ha poi preso la parola per esporre alcuni concetti legati al tema del ripristino della natura nei contesti urbani, a partire dall’ideogramma che mette in correlazione i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile con l’Agenda urbana europea. Un aspetto collegato all’intervento di Munafò è stato quello del “green recycling, che significa recuperare dei suoli non a fini urbanistici ma piuttosto a fini naturalistici o climatici”.

Il secondo panel, dal titolo “I Climate city contract delle città italiane”, è stato coordinato da Giovanni Fini e Daniela Luise, del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 11. Luise ha introdotto il sottogruppo del Goal 11 che si occupa delle 100 città europee per la neutralità climatica, mettendo il focus sulle nove città italiane che partecipano al progetto. Per realizzare questo obiettivo serve “capire quali sono i livelli di organizzazione sia interni alla città che di confronto con tutti i soggetti che vivono in essa”.

In seguito, Francesca Rizzo, docente del Politecnico di Milano di NetZeroCities, ha spiegato cos’è la missione “100 cities towards climate neutrality” e ha approfondito nello specifico il ruolo dei contratti climatici delle città, che sono “una formalizzazione di impegni tra stakeholder diversi lungo la catena del valore, dalla progettazione della politica fino alla sua implementazione”. “L’obiettivo che vogliamo raggiungere è di portare una riduzione dell’80% delle emissioni entro il 2030”, ha affermato la docente. “Il contratto”, ha evidenziato, “non ha nessun valore legale, ma è una manifestazione di intenzioni che lega gli ecosistemi locali delle città con tutti i livelli più alti di governance, fino ad arrivare alla Commissione europea”.

Il panel è proseguito con le relazioni delle amministrazioni di tre città italiane che hanno aderito al progetto “100 cities towards climate neutrality”. A prendere la parola per prima è stata Anna Lisa Boni, che ha raccontato l’esperienza del Comune di Bologna. Boni ha specificato che la missione della neutralità climatica delle città “è un vero cambio di paradigma, che serve a modificare l’approccio complessivo allo sviluppo urbano. Inoltre, riflette due elementi molto allineati con quelli dei Goal dello sviluppo sostenibile, ovvero l’approccio sistemico e quello partecipativo”. “Non è più un piano elaborato dal comune a cui poi altri soggetti aderiscono”, ha affermato Boni, “ma diventa un contratto della città”, la cui responsabilità è condivisa con tutti gli attori che ci abitano.

Gianluca Borghi, assessore alla Sostenibilità ambientale, energetica e alla mobilità del Comune di Parma, ha poi riportato l’esperienza della sua città. “Una delle prime cose che abbiamo fatto è stato di costituire una cabina di regia tecnica che cercasse di rendere strutturale quel grado di cooperazione e di coerenza dei momenti di programmazione”. Tra le iniziative che porta avanti, Parma sta infatti ridefinendo il Piano di mobilità sostenibile, ma ha anche approvato formalmente il Climate city contract lo scorso marzo e ha già messo in atto un progetto di efficientamento degli edifici comunali. L’amministrazione punta nel prossimo futuro ad accrescere il coinvolgimento dei cittadini, ad avere una governance allargata al territorio, a dotarsi di strumenti di monitoraggio condivisi, a favorire l’implementazione di progetti pubblici e privati, e ad ampliare i firmatari del contratto e il portfolio di azioni.

È poi venuto il turno di Valerio Barberis, assessore all’Urbanistica e ambiente del Comune di Prato. “Già nel 2015 la città ha adottato la sua prima agenda urbana, con cui ha messo insieme i temi della transizione ecologica con una logica di pianificazione sociale, che si è poi integrata con l’idea di carbon neutrality”. Nel 2022 è infatti nato Prato carbon neutral, un’azione complessiva con quattro missioni: la governance urbana, i dati e gli indicatori, lo stoccaggio della CO2 e il tema della riduzione delle emissioni. “A Prato”, ha evidenziato Barberi, “sono circa 900mila le tonnellate di CO2 emesse annualmente. Attraverso le indagini che abbiamo fatto con il Cnr sul metabolismo urbano in questi anni, emerge che la città, tramite il suo patrimonio naturale esistente e con il piano di riforestazione in corso, potrà arrivare a stoccare circa 50mila tonnellate di CO2. Questo vuol dire che nelle aree urbane è decisivo parlare di riduzione delle emissioni”.

L’ultimo intervento del panel è stato quello di Enrico Ratti, direttore generale della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. “Il clima che si respira all’interno delle fondazioni di origine bancaria è molto a favore al concetto di sostenibilità. Le fondazioni hanno un patrimonio perpetuo, della collettività, che devono investire sul territorio, correndo qualche rischio. La tendenza nel settore è di investire in finanza sostenibile a partire dalla consapevolezza che il clima e l’ambiente sono elementi di importanza fondamentale”.

Infine, Silvia Bartolini, capo unità Marine environment and clean water services della direzione generale Ambiente della Commissione europea, ha tenuto l’intervento conclusivo dell’iniziativa. “Stiamo vivendo una tripla crisi planetaria: degradamento degli ecosistemi, cambiamento climatico, inquinamento; a questa crisi vorrei aggiungere una quarta crisi, quella delle risorse, perché stiamo vivendo al di là dei limiti del nostro Pianeta”. Rispetto alla Nature restoration law, Bartolini ha evidenziato che per parlare di biodiversità bisogna considerare “tre parole chiave: conservare, proteggere e ripristinare. Ma quando un ecosistema è distrutto, lo si può solo ripristinare, recuperare come è possibile, e la legge sulla natura, di cui parlo al presente perché credo  che non sia stata detta ancora l’ultima parola, è una legge che copre tutti gli ecosistemi”. Parlando delle città per la neutralità climatica, Bartolini ha concluso affermando che queste iniziative possono dimostrare chela transizione è possibile, ed è possibile all’orizzonte 2030”.

 

di Milos Skakal