Cambia il mondo del lavoro, ma non la normativa: i ritardi su salute e sicurezza
Mancata applicazione delle regole, formazioni non veritiere, assenza di una cultura sostanziale della prevenzione: le criticità emerse all’evento ASviS sul Goal 8 nel Festival. Uil: “Siamo purtroppo all’anno zero”.
Per diminuire le morti, gli infortuni e le malattie legate al lavoro è necessario far applicare le normative esistenti e diffondere una cultura volta a trasformare i comportamenti, ma le misure del governo non stanno andando in questa direzione. È quanto emerso dall’evento del Festival dello Sviluppo Sostenibile “Salute e sicurezza sul posto di lavoro. Analisi del contesto attuale e dialogo tra le parti sociali” di giovedì 16 maggio, organizzato dal Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 8 “Lavoro e crescita economica”.
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L’iniziativa, che si è svolta a Roma al Palazzo delle esposizioni, è stata moderata da Giorgio Pogliotti, giornalista Il Sole 24 ore, e introdotta da Giuliana Coccia e Milos Skakal, referenti ASviS del Gruppo di lavoro. “Oggi ci concentreremo sul Target 8.8 del Goal 8, quello dedicato alla salute e alla sicurezza sul lavoro”, ha spiegato Coccia. “In Italia abbiamo una buona normativa che tutela questi aspetti, ma oggi è soprattutto importante unire gli sforzi e cambiare il concetto di cultura della sicurezza di lavoratrici e lavoratori”. Skakal ha proseguito rimarcando che “non è sufficiente limitarsi a contrastare gli infortuni sul lavoro seguendo le norme. È indispensabile un cambiamento di mentalità che porti la salute e la sicurezza sul lavoro da semplici obblighi normativi a valori fondamentali e investimenti essenziali da integrare nella routine quotidiana”.
La prima relazione, dal titolo “Salute e sicurezza: a che punto siamo?”, è stata tenuta da Silvia D’Amario, coordinatrice generale consulenza statistico-attuariale dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), che ha ripercorso l’andamento degli infortuni sui luoghi di lavoro negli ultimi anni. D’Amario ha anche parlato dei nuovi rischi per i lavoratori, come quelli psicosociali, di violenze e aggressioni, legati alla digitalizzazione e all’invecchiamento della forza-lavoro. “La prevenzione non è un costo ma è un investimento. In uno studio condotto in collaborazione con Accredia, abbiamo dimostrato che tutte le aziende che adottano sistemi di gestione della salute e sicurezza certificati hanno una riduzione significativa degli infortuni e quindi anche dei costi a essi associati”.
È poi venuto il turno di Antonio Allegrini, dirigente direzione centrale vigilante sicurezza del lavoro dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che ha tenuto un discorso intitolato “Il sistema delle ispezioni”: “Da tre anni a questa parte la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori ha avuto un forte impulso normativo, a partire dal decreto legge 146 del 2021 che ha ampliato le competenze degli ispettori del lavoro a tutti i settori, che fino ad allora erano confinate al settore dell’edilizia. Questo ha portato a norme che hanno aumentato i poteri sanzionatori, nonché a un aumento delle risorse ispettive e a una maggiore formazione degli ispettori”, che si sono occupati di sicurezza sul lavoro in settori che non erano storicamente loro.
In seguito ha preso la parola Francesco Catanese, presidente dell’Associazione professionale italiana consulenti di management (Apco), che ha approfondito il tema de “La cultura della sicurezza come fattore di prevenzione”. “Uno strumento concreto, che ritengo sia utile”, ha sottolineato Catanese, “è lo strumento della contrattazione di secondo livello aziendale, perché in essa c’è uno scambio, una complicità positiva tra lavoratore e datore di lavoro, e lì si costruiscono dinamiche che aiutano a istituire strategie a favore dell’essere umano e non il contrario”. Inoltre, ha evidenziato, bisogna “diffondere una cultura della prevenzione, che deve essere prioritaria rispetto a quella della risoluzione dei problemi”.
È poi arrivato il turno di Matteo Fadenti, vice-presidente dell’Associazione italiana formatori e operatori della sicurezza sul lavoro (Aifos), che ha discusso su “L’innovazione tecnologica: nuove sfide e opportunità per la salute dei lavoratori”. Fadenti ha parlato dei nuovi rischi connessi alle tecnologie digitali: “il 73% dei lavoratori europei lavora con l’utilizzo di smartphone, tablet, computer, e questo comporta sia dei rischi psicosociali che dei rischi connessi alla salute, come per esempio la postura e la vista. La sfida dei prossimi anni è di cercare di gestire al meglio il rapporto tra l’innovazione tecnologica e salute”. Fadenti ha anche evidenziato che “quando si parla di sicurezza sul lavoro si tende sempre a focalizzarsi sugli infortuni, mentre invece si dimentica il tema delle malattie professionali, che sono in crescita. Ci sono però molti dispositivi innovativi, sia nella protezione dei rischi che nella gestione delle emergenze”.
Pogliotti ha poi introdotto la tavola rotonda “Diritto al lavoro sicuro: riflessioni e proposte”. La prima a prendere la parola è stata Francesca Re David, segretaria confederale della Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), che ha evidenziato che le ultime leggi in materia di sicurezza sono state inserite all’interno di decreti che parlavano di altro, e che “non si parla dell’avvio di un lavoro generale rispetto a un piano nazionale per la prevenzione sul lavoro, che è invece quello che Cgil rivendica da molto tempo”. Re David ha proseguito sottolineando che è “la modalità di fare impresa che produce una svalorizzazione del lavoro, che comporta la catena degli appalti e che determina condizioni di insicurezza totale”. “Veniva detto che abbiamo delle buone leggi, è vero, ma dobbiamo farle applicare, e ciò significa”, ha evidenziato, “che bisogna cambiare il modello di impresa. Gli ispettorati del lavoro ci hanno detto che sul 90% delle aziende ci sono irregolarità gravissime per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni”.
In seguito Ivana Veronese, segretaria confederale dell’Unione italiana del lavoro (Uil), è intervenuta per dire che “quanto fatto dal ministero del Lavoro in questo ultimo anno”, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, “è inefficiente e inefficace. Nel 2023 la ministra Calderone si era impegnata a convocare nove tavoli tematici. Nella realtà questi tavoli non si sono mai riuniti. Ci troviamo a discutere con il ministero del Lavoro a fronte di tragedie, dopo le quali vengono inserite in altri decreti, che delle volte non hanno nulla a che fare, testi che non sono stati condivisi”. “Siamo purtroppo all’anno zero”, ha chiosato Veronese, “noi abbiamo chiesto un tavolo più ampio, a Palazzo Chigi. Il tema della salute e della sicurezza dev’essere un tema condiviso in tutto il Paese”.
Il panel è proseguito con la presa di parola di Cinzia Frascheri, responsabile nazionale salute e sicurezza sul lavoro della Confederazione italiana sindacati lavoratori (Cisl), che ha rimarcato che ad oggi “non c’è solo la necessità di una strategia nazionale di prevenzione, ma occorre parlare di un patto sociale”. “Serve un impegno e una responsabilità da parte di tutti gli stakeholder per portare a terra quello che oggi c’è, perché attendere sempre una normativa nuova, più ispettori, più controlli, tutto vero, ma poi bisogna andare al concreto”, ha sottolineato. Frascheri ha poi ribadito che bisogna “guardarsi tra soggetti e fare un patto d’impegno e di responsabilità collettiva, perché anche a livello di società civile non possiamo spogliarci degli abiti che vestiamo a seconda del ruolo che abbiamo e assumere atteggiamenti diversi”.
In seguito, Nicola Patrizi, presidente Federterziario, ha affermato che “in Italia ci sono più di cinque milioni di imprese e l’80% di queste sono micro-imprese. Il tema della sicurezza necessita di un distinguo, perché non posso trattare la micro-impresa come la multinazionale che hanno quadri di responsabilità non paragonabili. Abbiamo fatto delle proposte al ministero del Lavoro, che vanno dalla valorizzazione della formazione fino alla consapevolezza che con le micro-imprese bisogna adottare una graduazione degli adempimenti, perché oggi il tema della sicurezza è strettamente correlato al costo che l’impresa sostiene”. Patrizi ha concluso il suo intervento sottolineando che va rivisto il sistema nella sua interezza, e quindi vanno rafforzati e razionalizzati gli organi di controllo, introdotte le tecnologie di controllo per facilitare il lavoro degli ispettori e creati meccanismi di verifica della formazione che viene fatta.
È poi arrivato il turno di Riccardo Giovani, direttore sulle Politiche sindacali e del lavoro di Confartigianato Imprese, che ha ripreso il discorso sulle aziende di piccole dimensioni: “è importante arrivare alle micro-imprese attraverso l’associazionismo e la pariteticità con i nostri partner Cgil, Cisl e Uil. Le risposte che stiamo dando in questi anni agli infortuni sono sempre le stesse: si tende all’inasprimento della pena o della sanzione, ma abbiamo bisogno di una pena giusta, che sia effettivamente applicata”. Giovani ha proseguito sottolineando che tutta la normativa del governo “sulla patente a crediti, non lavora sulla prevenzione o sulla qualificazione delle imprese, ma essenzialmente sul fatto sanzionatorio”. “Come associazioni portiamo avanti il tema della cultura e della sicurezza sostanziale”, perché il problema, ha concluso, non è solamente avere l’attestato di formazione di sicurezza sul lavoro, ma “di averlo fatto davvero e che sia servito”.
È poi intervenuto Fabio Pontrandolfi, dell’area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria. “La lotta contro gli infortuni e le mattie professionali deve essere combattuta sul piano delle regole, perché queste devono entrare all’interno del comportamento”. Pontrandolfi ha ricordato gli sviluppi degli ultimi anni: “È cambiato il mondo delle tecnologie, dell’organizzazione del lavoro, e anche gli strumenti che abbiamo a disposizione per gestire la sicurezza. Il quadro normativo non è però in grado di rispondere a queste novità”. Ha poi chiuso parlando di formazione che, ha ribadito, “serve a trans-formare le persone, a dare gli strumenti conoscitivi, comportamentali che insieme alle esperienze formano la persona” e aiutano a comprendere l’importanza di quello che si sta facendo.
Simone Gamberini, presidente di Legacoop, ha preso la parola per ultimo: “Abbiamo sentito parlare oggi di qualità del lavoro, e la salute e la sicurezza sul lavoro è una parte di questa. Non può esistere un lavoro di qualità senza che esistano le condizioni di sicurezza massime che possono essere consentite in quel contesto”. Gamberini ha evidenziato che “bisogna considerare l’esistenza di settori con velocità differenti dal punto di vista infortunistico. Dei settori come l’industria e l’agricoltura non possono essere messi alla pari in termini di misure e di interventi, perché sono settori che vengono da dinamiche differenti. Devono avere una base legislativa comune con interventi verticali che gli permettano di essere efficaci nelle loro azioni”.
Le conclusioni dell’evento sono state affidate a Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, che ha voluto ricordare la riforma costituzionale di due anni fa, dove è stato introdotto il concetto di difesa dell’ambiente anche per le future generazioni. “È stato esplicitato, all’articolo 41, che l’attività economica è libera, ma non può svolgersi in violazione dell’ambiente e della salute. Dove l’ambiente è quello circonstante, ma anche l’ambiente di lavoro, che incide sulla salute dei lavoratori”. Giovannini ha poi avanzato una proposta: “esistono interessi contrastanti, che vanno affrontati pezzo per pezzo, e forse ASviS da questo punto di vista può mettere insieme i soggetti che hanno parlato oggi e altri, perché tutti hanno preso un impegno per lavorare sulla base dell’Agenda 2030. Abbiamo un’opportunità davanti, che propongo a chi ha parlato: proviamo a costruire insieme all’interno dell’ASviS un documento di riferimento che affronti i diversi pezzi”.
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di Milos Skakal