Costruire una politica di complementarità tra risorse pubbliche e private
Sanità, scuola, povertà. L’evento ASviS sui Goal 1-10 ha affrontato la questione dei servizi pubblici essenziali e della loro fornitura a livello territoriale, considerando le disparità regionali e le mancanze delle amministrazioni.
Il terzo settore non deve essere un meccanismo per attuare a ribasso le politiche sociali, mentre il pubblico deve mantenere un controllo e una regia sulla fornitura dei servizi. Questo è il messaggio emerso dall’evento del 22 maggio “Il pubblico che serve: come assicurare equità di accesso e dignità del lavoro”, organizzato a Roma dal Gruppo di lavoro ASviS sui Goal 1 “Sconfiggere la povertà” e Goal 10 “Ridurre le disuguaglianze”, in collaborazione con il Forum disuguaglianze e diversità, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile.
Ha aperto i lavori Flavia Terribile, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro ASviS sui Goal 1 e 10. “Qual è il fine ultimo dello spazio pubblico? Quello di promuovere dei servizi essenziali di qualità per tutte e tutti i cittadini. Ma come lo fa? Mettendo al centro proprio la persona, la comunità, per rispondere a bisogni che sono sempre più multidimensionali, che necessitano di un sistema integrato di servizi essenziali”. L’intento dell’evento, ha spiegato Terribile, è quello di “partire da esperienze vere nel campo della lotta alla povertà, del contrasto alla povertà educativa e della salute”, nonché parlare del rapporto di collaborazione tra pubblico, sociale e privato-sociale.
L’introduzione è stata poi affidata a Elena Granaglia, del coordinamento Forum disuguaglianze e diversità e docente presso l’Università degli Studi Roma Tre: “Il pubblico, inteso come pubblica amministrazione, non sempre serve finalità pubbliche e allo stesso tempo le organizzazioni del privato e del privato-sociale possono svolgere attività pubbliche. In breve, non esiste una connessione automatica tra la natura della proprietà e le finalità perseguite”. Granaglia ha posto alcune delle problematiche affrontate dall’evento: “cosa intendiamo esattamente per finalità pubbliche? E nell’ambito dei servizi per il benessere delle persone, le organizzazioni del privato e del privato-sociale possono realizzare tutte le finalità pubbliche, oppure alcune sono riservate alla pubblica amministrazione? In altri termini, la nozione di pubblico ha solo una funzione regolativa, o di finanziamento, oppure abbiamo bisogno di un assetto proprietario del pubblico?”.
La moderazione dei panel è stata affidata a Raffaela Milano, co-coordinatrice del Goal 1-10, e direttrice Ricerche e formazione di Save the Children, che ha introdotto il primo confronto sul tema “La tutela della salute”. Ha quindi preso la parola Serenella Caravella, ricercatrice Svimez, rimarcando che “l’accessibilità dei diritti di cittadinanza è un presupposto per lo sviluppo socio-economico di un territorio”. Caravella ha parlato del rapporto Svimez appena pubblicato, “Un Paese, due cure”, all’interno del quale viene analizzato il Sistema sanitario italiano, con le sue forti disparità tra Nord e Sud, che sta vivendo “un forte indebolimento rispetto al confronto europeo”.
Fabrizio Arena, presidente del laboratorio “Zen Insieme” di Palermo, è poi intervenuto spiegando che “le parole e i dati che mi hanno preceduto ci restituiscono la fotografia di un’Italia, e di un Sud Italia, in cui la povertà sanitaria è sempre più in aumento e sempre più incisiva”. Arena ha affermato che la povertà sanitaria porta con sé un senso di “ingiustizia sociale e di negazione di un diritto che dovrebbe essere sancito costituzionalmente, che la rende ben più complessa”. L’intervento ha riportato “l’esperienza dell’ambulatorio sociale aperto allo Zen”, quartiere popolare di Palermo, provando “a tradurre in realtà concreta” i dati visti prima.
In seguito è stato aperto il secondo panel “Contrasto alle povertà educative”, il cui primo intervento di Giulio Cederna, direttore della Fondazione Paolo Bulgari, si è concentrato sul lavoro svolto dalla Fondazione nel quartiere di Tor Bella Monaca a Roma. “La Fondazione Paolo Bulgari ha cominciato a lavorare a partire dalla considerazione che nei territori esiste un ‘pubblico alternativo’, cioè questa realtà fatta di terzo settore organizzato, associazioni, cooperative, ma anche molte realtà informali”, come il progetto Cubo libero realizzato dal centro sociale di Tor Bella Monaca. “L’idea che anima il nostro lavoro è quella di andare a sostenere questi anticorpi. Questo ha prodotto, in collaborazione con le istituzioni, un intervento importante come la riqualifica della scuola più complicata di Tor Bella Monaca, dove abbiamo realizzato un’aula giardino”, ha raccontato Cederna.
Fabio Rocco, docente dell’istituto comprensivo “San Camillo” di Padova e coordinatore del Patto educativo Padova, ha poi riportato un punto di vista interno al mondo della scuola. “Durante gli anni della pandemia è emerso il fatto che esistono dei problemi in ambito scolastico, che in realtà non sono nati con la pandemia, sono semplicemente esplosi. Elementi come l’abbandono, la dispersione, tutto quello che ha a che vedere con la parità di opportunità che viene fornita attraverso le scuole viene di fatto messa in crisi. In questo quadro”, ha spiegato Rocco, “sono emerse delle possibilità. I patti educativi e il lavoro intorno alle comunità educanti hanno questo tipo di senso”.
Raffaela Milano ha quindi dato la parola a Carla Antonucci, dell’autorità di Gestione del Programma nazionale inclusione del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, dando il via all’ultimo panel “Lotta alla povertà e promozione dell’inclusione”. Antonucci ha parlato del Piano nazionale inclusione e povertà: “Proprio in questi mesi stiamo definendo il nuovo piano sociale 2024-2026, che al suo interno contiene la programmazione di fondi nazionali importanti come il Fondo nazionale politiche sociali, il Fondo povertà. Stiamo facendo un gran lavoro di messa a sistema di tutti i fondi del sociale, che è un elemento fondamentale per far funzionare davvero questi interventi nei territori attraverso gli ets”.
È poi arrivato il turno di Alberto Campailla e di Ilaria Manti, rispettivamente presidente e responsabile area politiche di contrasto alla povertà dell’associazione Nonna Roma. Il fine del progetto, ha spiegato Campailla, era quello di “costruire un banco alimentare, quindi una risposta che stesse sul terreno della povertà alimentare. Ci siamo da subito resi conto della natura multidimensionale della povertà”, considerandola come il primo elemento che va messo al centro di una discussione sul tema delle deprivazioni. Campailla ha aggiunto un elemento trasversale, ovvero quello di una povertà relazionale: “oggi, se uno non può andare al cinema perché costa 8-10 euro, il problema non è solo che non sono aggiornato, ma che tendenzialmente non vedo mai nessuno”. Manti ha poi aggiunto una riflessione su cosa vuol dire fare sociale e sul mondo del terzo settore: “C’è una parte di politica, di istituzione, che non riesce più a raggiungere le persone, e c’è una parte di città che è escludente rispetto alle persone che non possono permettersi di abitare nel centro città. Questa esclusione verso le periferie e delle periferie è stato il punto di partenza per identificare i bisogni, non solo per creare comunità ma anche perché è sempre più facile entrare nel vortice della povertà”.
Il palco ha quindi lasciato spazio alla tavola rotonda “Orientamenti per le politiche pubbliche”, che è stata moderata da Flavia Terribile. Ha aperto la discussione Carla Collicelli, responsabile relazioni istituzionali dell’ASviS e referente del Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 3 “Salute e benessere”: “Noi abbiamo un welfare e una sanità che per certi aspetti ci è invidiata, nel senso che ha una forte base di universalismo che però fin dall’inizio ha avuto importanti lacune. Le prestazioni, che sono state messe in cantiere per realizzare gli obiettivi della Costituzione, sono state affidate a istituzioni molto burocratizzate, a trasferimenti di carattere economico e con una scarsa attenzione a tutti quegli altri aspetti culturali fondamentali che stanno alla base dell’Agenda Onu 2030”.
Il panel è proseguito con la presa di parola di Vincenzo Durante, responsabile Occupazione di Invitalia, il quale ha sottolineato che “serve una politica pubblica non soltanto a sostegno della crescita economica e di regolamentazione del mercato del lavoro, ma anche una politica che favorisca percorsi di autoimpiego, perché soprattutto per le fasce di popolazione più deboli l’autoimpiego rischia di essere una prospettiva più facilmente perseguibile rispetto a quella dello status di dipendente”. Durante ha poi parlato delle iniziative promosse da Invitalia in questo senso, che hanno coinvolto complessivamente 1.300 Neet.
Andrea Morniroli, coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità, ha poi sottolineato che “il nostro Paese, attraverso l’integrazione pubblico-privato, ha messo a terra alcune delle normative migliori. Il fatto che oggi troviamo delle difficoltà, che sono state raccontate anche da alcune esperienze, è perché nel processo di dismissione del welfare pubblico è stata anche attaccata quell’integrazione virtuosa pubblico-privato. Perché il pubblico è stato smantellato dal punto di vista delle risorse, perché il mantra neoliberista ci ha detto che il pubblico era sempre sbagliato e che andava favorito il privato, e perché è stato precarizzato il lavoro nella sanità e nella scuola”. “Il terzo settore,” ha spiegato Morniroli, “è stato vissuto non come attore di politiche ma come attuatore al ribasso di politiche di natura puramente prestazionale. Dobbiamo tornare a una integrazione virtuosa che c’è stata in questo Paese”.
Daniele Piccione, consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, ha invece parlato della ridislocazione del rapporto tra privato e pubblico nella fornitura dei servizi essenziali, considerandola come “il convitato di pietra che ha atterrito le speranze di chi guardava a un rilancio del welfare, perché è evidente che la devoluzione verso l’intesa del privato come surrogato del pubblico ha fatto molto male all’effettività dei diritti sociali”. “Questo non vale soltanto per il diritto alla salute”, ha proseguito Piccione, “ma in generale per le questioni che attengono a tutti quei diritti che si sviluppano in ambito biopsicosociale”. Ha evidenziato quindi che il privato non deve avere una posizione di alternatività, ma deve avere delle grandi limitazioni, in sostanza “il pubblico deve mantenere una funzione pivotale, che implica anche una funzione di controllo”.
È poi venuto il turno di Marco Rossi Doria, presidente dell’impresa sociale “Con i Bambini”, che ha riportato il contesto italiano rispetto alla povertà minorile e ha parlato della co-programmazione pubblico-privato nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, raccontando alcune valutazioni rispetto all’esperienza della sua organizzazione negli ultimi anni. “Noi vogliamo la prossimità tra il pubblico e il privato, ma spesso l’amministrazione è consuetudinaria, la considera fatica in più. I partiti politici non sono all’interno della discussione fondamentale per superare la povertà e fare coesione sociale. Abbiamo un problema politico per poter continuare a ragionare su queste cose”, ha sottolineato Rossi Doria.
Katia Scannavini, vice segretaria generale di ActionAid, è intervenuta per ultima nella tavola rotonda, rimarcando che “il concetto di accountability è fondamentale. Anche il concetto di potere, perché bisogna ricostruire cosa significa potere e ridistribuire il concetto stesso all’interno della nostra società. Il potere non è solo dei partiti, ma è di tutti i cittadini e le cittadine, delle persone che abitano un posto, della cittadinanza attiva”. Scannavini ha rimarcato che l’accountability, il monitoraggio e la valutazione sono importanti perché sono “una parte fondamentale della partecipazione ed è alla partecipazione che bisogna dare potere”, e per partecipare sono fondamentali dati e informazioni.
Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, ha infine concluso l’evento. “Serve un cambio di approccio che deve attraversare contemporaneamente il pubblico e il privato sociale, perché purtroppo prevale troppo spesso un approccio di natura economicistica. Se permane questo approccio non riusciamo a costruire una prospettiva in grado di esercitare pienamente la co-progettazione e la co-programmazione. Dobbiamo alzare il livello culturale e anche di soluzione e risposta ai problemi. Bisogna costruire una strada”, ha sottolineato Stefanini, “nella quale la reciprocità, la disponibilità, la convergenza vera, la volontà di farlo insieme, siano i tratti che caratterizzano una risposta adeguata a un diverso assetto sociale del nostro Paese”. Stefanini ha concluso ribadendo che bisogna “agire per investire sulla coesione, sul coraggio e la lungimiranza, dobbiamo farlo attraverso una strategia multilivello, dobbiamo aumentare il grado di investimenti per allinearci all’Europa, e su questo c’è una carenza insopportabile, dobbiamo costruire una politica di complementarità tra le risorse pubbliche e quelle private. Infine, dobbiamo investire in capacità”.
di Milos Skakal